- Per la stragrande maggioranza degli italiani (74,7%) non è il lunedì ad essere il giorno peggiore della settimana
- Tristezza e felicità al lavoro sono determinate in primis da capo e colleghi
- Nessuna osmosi fra problemi di lavoro e a casa, solo il 6,5% non riesce a separarli
- Se buttarsi a capofitto nel lavoro è la reazione più comune alla tristezza (37,3%), la formazione sembra essere il miglior rimedio (34%)
Prendendo spunto dalla ricorrenza del Blue Monday (la giornata nota come la “più triste dell’anno”), InfoJobs ha realizzato un’indagine ad hoc per capire qual è in generale l’incidenza del lunedì sull’umore di chi lavora e quali sono gli elementi che concorrono a felicità e tristezza quando lavoriamo.
Sono venute fuori diverse cose interessante riguardo il nostro rapporto con il mondo del lavoro. Alcune sono risposte prevedibili, altre invece più inaspettate.
Indice dei contenuti
Il lunedì non è per forza il giorno più brutto
Dall’indagine di InfoJobs “Felicità e Tristezza al lavoro”, la prima cosa che emerge è che secondo la maggioranza dei lavoratori italiani (74,7%) il lunedì, in quanto lunedì, non è il giorno peggiore della settimana. Di questi, il 39,7% dichiara che ogni giorno ha le proprie peculiarità e quindi non è necessariamente il lunedì il giorno più brutto della settimana.
C’è anche un 16,1% che ama questa giornata perché può contare ancora sulla carica del weekend! C’è poi chi non sa scegliere il giorno meno bello, perché lavorando su turni il lunedì è solo uno fra tanti (9,9%) e chi invece sente il proprio umore cambiare intorno a metà settimana, quando il weekend passato è ormai lontano e quello che deve arrivare è ancora troppo distante (5,5%). Solo il restante 25,3% del campione considera il lunedì il giorno peggiore, perché ci vede l’incombere dell’inizio della settimana lavorativa e delle responsabilità collegate.
Cosa ci rende tristi al lavoro
Secondo quanto rilevato da InfoJobs, nella top 5 degli elementi sinonimo di tristezza al lavoro ci sono: al primo posto (per il 44,1%) le tensioni con capo e colleghi, al secondo posto (37,5%) l’essere impiegati in un lavoro lontano da quello dei propri sogni e che viene svolto per esigenza economica. Al terzo posto poi c’è proprio la retribuzione, che se non adeguata all’impegno profuso e all’esperienza è per il 26% un elemento di turbamento del buonumore. Al quarto posto si posiziona (21%) l’impossibilità di bilanciare esigenze lavorative e personali. In chiusura – è il caso di dirlo – della triste classifica, con il 14,1%, ci sono gli orari di lavoro con permessi e ferie non sempre rispettati.
Un caso particolare è quello dei lavoratori in smart working: per la maggior parte di loro (30%) è il mancato distacco fra lavoro e vita privata il responsabile di un umore a terra. Segue l’idea di non sapere a quando ci sarà il vero ritorno alla “normalità” (25%) e la mancanza di convivialità con i colleghi (20%), come ad esempio la famosa pausa caffè alla macchinetta. Infine la difficoltà nel dover gestire progetti e lavori a distanza (15%) provoca un senso di tristezza dovuto alla mancata possibilità di potersi riunire e lavorare realmente in gruppo, l’11% poi soffre in particolar modo la lontananza dai colleghi, probabilmente collegata all’idea di lavoro nel senso più tradizionale.
Cosa ci rende felici al lavoro
Il lavoro è un dovere, ma la vera conquista è quella di trovare la felicità anche nelle attività professionali, considerando che occupano la maggior parte delle nostre giornate. Secondo i risultati della ricerca, a determinare il buonumore al lavoro è in primo luogo (36%) un ambiente favorevole e disteso con colleghi e capi. Questo fa superare anche la sensazione di non svolgere propriamente il lavoro dei propri sogni. Segue a breve distanza (34%) la possibilità di svolgere una mansione che consenta un giusto equilibrio fra gli impegni di business e quelli privati; infine, ma non meno importanti, ci sono i tanto attesi risultati e riconoscimenti da parte dell’azienda (18,4%), la gratificazione è da sempre premiante sia in termini di umore del lavoratore che in termini di produttività.
Gli smartworkers, o chi ha provato il lavoro agile anche per un breve periodo, trovano soddisfazione e felicità soprattutto nell’evitare il commuting (32,4%), potendo fare a meno dell’uso di mezzi per gli spostamenti casa-lavoro. Al secondo posto (31,7%) fra le motivazioni di felicità c’è il poter gestire in autonomia i tempi da dedicare alle attività professionali e quelli per sé e per i propri affetti. Al terzo posto (27,6%) poter beneficiare di pranzi e colazioni più distese e non con la solita fretta di un tempo, fra brioche infilate nel pc mentre si chiama l’ascensore e si pianificano meeting.
Le soluzioni e il bilanciamento vita privata – lavoro
Negli ultimi due anni, complice la delicata situazione causata dalla pandemia, la vita personale e quella professionale hanno visto per molti un netto cambiamento e una profonda osmosi a causa della limitata separazione dei due piani. Nonostante questo, per il 51% degli intervistati, i turbamenti rimangono confinati nella loro origine: un problema personale non intacca le attività professionali e viceversa. Per il 42,7% è complesso, ma un taglio netto è fondamentale, mentre solo il 6,5% non riesce a staccare i due aspetti.
In concreto, quando il buonumore manca, i lavoratori reagiscono una sorta di “chiodo schiaccia chiodo”, perché se è nel business la fonte di afflizione, allora è lì che si trova uno sfogo: quando sono tristi, le persone si buttano a capofitto nel lavoro per cercare di mantenere la mente occupata (37,3%). I più estremi si rinchiudono in se stessi per non portare malumore fra i colleghi (29,4%), mentre altri ancora si affidano proprio al supporto di colleghi (20%), oramai diventati amici per superare i momenti difficili. Una piccola parte, infine, (13,9%) si muove attivamente per organizzare un’attività extra lavorativa e avere un pensiero felice per affrontare con grinta la giornata lavorativa.
Se la tristezza domina la nostra giornata lavorativa, dobbiamo però cercare di essere costruttivi e cambiare la situazione: potendo scegliere, quali sarebbero i migliori rimedi secondo i professionisti? Per il 34% del campione, la formazione riveste un ruolo fondamentale per combattere la tristezza al lavoro: largo quindi ai corsi promossi dall’azienda, per imparare cose nuove e per confrontarsi con i colleghi. Le condizioni lavorative e il rispetto delle stesse sono una fonte di benessere (32,4%), così come (27,4%) un ambiente più rilassato e meno gerarchico, cui fa seguito un percorso di carriera chiaro o una promozione (23%). Fra le curiosità? Beh, un nuovo capo sarebbe fonte di felicità per un limitato – seppur deciso – 5,1%.