Quando arrivare dopo sulla notizia può essere meglio. Com’è nato lo slow journalism, quali sono le sue caratteristiche e quali fonti seguire
Si è soliti dire che il bravo giornalista è quello che arriva primo sulla notizia. Vero, ma non sempre. Il web e i social hanno modificato e snaturato molto il giornalismo negli ultimi anni: ora è tutta una gara ad arrivare primi, a postare la news che porterà più clic e quindi aumenterà il numero di visite al sito permettendo di guadagnare qualche centesimo in più o di attirare un investitore. E se non si arriva primi? Si segue il flusso, si parla di quello che parlano gli altri cercando disperatamente impression e like. I contenuti da pubblicare devono essere tanti e immediati. Un meccanismo tale non può che andare a discapito della qualità dell’informazione e dei testi.
In risposta a questa tendenza, da anni in Europa molti giornalisti stanno lavorando per garantire un futuro migliore a questa professione. Mai sentito parlare di slow journalism? Ecco, con questo articolo spero di darti la giusta infarinatura per approfondire l’argomento e cominciare a leggere e sostenere contenuti giornalistici di qualità.
Indice dei contenuti
Cos’è lo slow journalism
Come per tutti i movimenti e le realtà in divenire è complesso dare una definizione esaustiva in poche parole. Mi aiuterò quindi con quanto scritto da Wikipedia e dai colleghi italiani di Slow News (di cui ti parlerò nelle prossime righe).
In un’epoca storica in cui il giornalismo è minato dalla rincorsa a tutti i costi alle breaking-news, da titoli e contenuti acchiappa-clic e dalla mera riproposizione di comunicati stampa, lo slow journalism si propone di rimettere al centro l’informazione di qualità. Dando vita a un prodotto buono, affidabile, approfondito e che abbia lunga vita, ovvero non si perda dopo pochi minuti nel flusso indistinto dei contenuti digitali.
Un giornalismo che sfrutta tutto il tempo necessario alla creazione di un contenuto di valore, non ha l’ansia della pubblicazione immediata e dei clic, ma verifica le fonti, va in profondità e non rinuncia nemmeno a uno stile narrativo piacevole. Proprio per queste ragioni, lo slow journalism cerca anche modelli di business alternativi a quelli attuali legati alle impression e ai clic, che negli ultimi anni hanno portato l’informazione a perdere di qualità e attendibilità.
L’ex giornalista Susan Greenberg ha affermato che lo slow journalism si prende il tempo per scoprire le cose, notare storie che agli altri mancano e raccontarle con elevati standard qualitativi. Slow News parla di “contenuti pubblicati quando sono pronti e non quando si deve”.
Leggi anche:
La definizione di Wikipedia (in inglese) e quella di Slow News
Slow Journalism in Italia
Quando si parla di slow journalism in Italia il punto di riferimento è sicuramente Alberto Puliafito, giornalista e direttore di Slow News, testata e sito su cui è possibile scoprire di più sull’argomento, ma anche leggere molti contenuti giornalistici di rilievo. Articoli che, sotto forma di episodi, vanno ad alimentare serie informative che raccontano storie interessanti e che non “scadono” nel tempo.
Slow News è un progetto di giornalismo lento aperto, sotto tanti punti di vista. Ci si può infatti iscrivere alla newsletter per ricevere gli articoli direttamente via mail, si può decidere di sostenere economicamente il progetto (anche con piccole cifre) ottenendo altri contenuti di qualità e ci si può proporre anche come autori di una storia.
Il libro da leggere
E proprio Alberto Puliafito, insieme al collega Daniele Nalbone, ha scritto un libro molto interessante che ti consiglio di leggere: Slow Journalism – Chi ha ucciso il giornalismo?
Il testo dei due giornalisti italiani racconta il declino qualitativo che ha colpito la professione negli ultimi anni e lo fa affrontando diversi argomenti: dallo stile dei contenuti al rapporto malato con il digitale, fino alle note dolenti “economiche”, ovvero contratti e retribuzioni. Nel libro vengono esposte poi le tesi dello slow journalism e le possibili soluzioni per ridare lustro a una professione che deve essere sempre al servizio del cittadino.
Il film da guardare
Dal progetto di Alberto Puliafito è nato anche un film-documentario (che puoi vedere on demand su Vimeo) che racconta com’è nato il movimento dello slow journalism e quali sono le sue caratteristiche, attraverso la voce di autori e giornalisti che in tutta Europa hanno sentito l’esigenza di lavorare per un’informazione più sana.
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Le realtà europee
Come anticipato, sono diverse le realtà editoriali che fanno slow journalism a livello internazionale. Oltre ai colleghi italiani di Slow News, troviamo esempi di qualità che vanno dagli Stati Uniti all’Olanda, dalla Danimarca al Regno Unito.
Queste le testate più celebri, che potrebbero interessarti:
- De Correspondent (Olanda)
- Delayed Gratification (Regno Unito)
- ProPublica (USA)
- Zetland (Danimarca)
Se invece vuoi approfondire ulteriormente l’argomento, leggendo altri libri sullo slow journalism, il pilastro da cui partire è sicuramente Slow news. Manifesto per un consumo critico dell’informazione di Peter Laufer. Infine, ti consiglio anche Slow Media di Jennifer Rauch.